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sabato 18 aprile 2009

X-FACTOR: LO SEGUONO IN MASSA I LAUREATI E I RICCHI, SI ORGANIZZANO GRUPPI D'ASCOLTO E CI SONO PROF E SCRITTORI CHE NE VANNO PAZZI (MA NON LO DICONO)

X-Factor lentamente si sta ritagliando una sua nicchia di pubblico: il 16% e oltre 3 milioni per la semifinale e soprattutto la leadership nella classe AA che raggruppa le fasce ad alto reddito e alta istruzione. Questo interesse da parte di un pubblico benestante è sicuramente la chiave di lettura per capire i vari spostamenti fatti da Mediaset per non farlo decollare troppo, anche se per la finale di domani avrà contro la Fattoria, che un successo non è, d'ascolto e di gradimento.

Walter Siti, giornalista de "La Stampa", ha preso parte a un gruppo d'ascolto, pare ce ne siano parecchi in Italia, di X-Factor, riportando opinioni, commenti e atteggiamenti di questo popolo di fan del talent show di Raidue.

Il programma di prima serata più seguito dai laureati»: così X Factor presenta se stesso a chi televota via sms. Sono orgogliosi di rappresentare la «fascia alta» dei talent-show, mentre Amici sarebbe la fascia bassa, intasata da ragazzini vocianti adoratori di Marco Carta. Chiedo conferma a un’autrice, sì, i dati suddivisi per titolo di studio accreditano il primato. Pare ci siano «gruppi d’ascolto» formati da fior di ricercatori e professori universitari e anche scrittori che mai lo ammetterebbero.

Decido di partecipare a uno di questi gruppi, dove naturalmente minimizzano: è un divertimento meno scemo di altri, niente di che.

Poi però cominciano a televotare come assatanati per sostenere i preferiti, e arrivano messaggini buffi dagli altri gruppi e commenti salaci su questo o quel concorrente (Daniele Magro è il più preso di mira).

Sono espertissimi, non si sono persi una puntata: okèy allora, proviamo ad analizzare le ragioni di questo successo tra gli spettatori più acculturati. La prima ragione è certamente il livello dei cantanti e dei brani musicali; ci si trova di fronte a dei quasi-professionisti, anche perché qui non cantano solo ragazzini (uno dei finalisti è più anziano di uno dei giudici). I brani sono cover di pezzi «storici» del pop e rock e punk degli Anni 70-80 (dai Led Zeppelin ai Ramones) o anche brani rari dei cantautori italiani più difficili - roba che allora non passava in televisione; gli intellettuali quarantenni hanno la soddisfazione di ascoltare sulla Rai la musica che consideravano trasgressiva quand’erano giovani e i giovani vedono nel trentasettenne Morgan uno «che ci capisce» e può guidarli alle bellezze della musica.

La seconda ragione è l’estrema sobrietà degli autori nel dosare gli elementi di reality: anche nella striscia quotidiana i concorrenti vengono spiati nelle prove e nei dubbi professionali, ma non si va a frugare nel loro privato (qui si dovrebbero formare le star e le star hanno bisogno di un po’ di mistero); siccome il reality è ormai percepito come la quintessenza del trash, la sua assenza funziona come patente di nobiltà.

Una terza ragione è la confezione accurata del programma: studio enorme e costosissimo, clip impeccabili sia tecnicamente che narrativamente; le coreografie internazionali e glamour di Luca Tommasini, fari come lame che tagliano il buio; un ritmo serrato e un presentatore che sembra un telepredicatore americano; abbastanza per soddisfare i bisogni cosmopoliti dello spettatore medio-colto, per dargli l’impressione di non essere alla Rai.

Forse il segreto del successo di X Factor è proprio la sua disponibilità a esser letto con o senza virgolette; dal laureato standard o dall’impiegato del terziario, il programma viene ingenuamente goduto come approccio importante alla musica; le discussioni tra Morgan e la Maionchi vengono prese sul serio e fanno riflettere; tre giovanotti trentini con sonorità da coro di montagna possono essere considerati il massimo del rock duro e pericoloso.

Per l’intellettuale dal ciglio alzato, il programma è sufficientemente astuto da presentarsi come prodotto camp: si può rimpiangere il Morgan antico leader dei Blue Vertigo, sghignazzare sulla Ventura e i suoi giudizi di pancia, divertirsi col gesto dell’ombrello della Maionchi.

Da quello straordinario animale da televisione che è, la SuperSimo riassume nel proprio corpo la doppia lettura: contemporaneamente madre e clown, stonata e domatrice, sexy e tormentata, ambasciatrice del senso comune e icona potentissima - lei, che con la musica non c’entra nulla, diventa il perno intorno a cui ruota la trasmissione. La Ventura porta con sé tutto il proprio passato, la ferocia delle Iene e l’ironia di Quelli che il calcio, ma santificata in qualunque strato sociale dall’Isola dei famosi. Poi c’è la gara, e i siparietti comici dei disgraziati tipo Corrida; le anime semplici trepidano e ridono, gli intellettuali si guardano ridere e trepidare, e fingono di fingere emozione.

La puntata finale è stata promossa su RaiUno, ma già nelle ultime puntate il programma si è ripulito e istituzionalizzato; è diminuito il tasso di polemica e di aggressività tra i giudici; l’altra sera in semifinale c’era Mogol che cercava di normalizzare i testi più moderni; il brano inedito di Matteo, il più anziano tra i concorrenti, è assolutamente sanremese, alla Renga o alla Zarrillo (con quanto gradimento del suo sponsor Morgan non è dato sapere). Mercoledì da Vespa si è celebrata la consacrazione: l’idea era quella (tipica appunto dell’ultimo Sanremo) che la musica è bella tutta, volémose bene, le trasgressioni si accennano così per scherzare, quello che conta è essere in tanti e dire ai giovani che li aspetta lavoro e ancora lavoro; Arisa si è gemellata con Wilma De Angelis, benedicente in collegamento.

Le signore morigerate che domenica proprio non ce la faranno a sorbirsi le sguaiataggini della Fattoria, potranno sintonizzarsi sulla finale di X Factor, sicure che non verranno scandalizzate più di tanto. Facchinetti saprà essere signorile come la Carlucci, i ragazzi non mostreranno più di qualche adorabile intemperanza. Così si marginalizza l’eccezione in tivù, inglobandola in un pastone euforico; non si organizza soltanto il consenso, ma una soddisfatta proiezione di sé nella maggior parte degli spettatori. Chissà se almeno a questo i laureati si ribelleranno
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