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venerdì 27 febbraio 2009

PAOLO BONOLIS: "A SANREMO 2010 LASCIO IN EREDITA' UNA OPPORTUNITA' DI CONTEMPORANEIZZARE IL FESTIVAL"


Istrionico, geniale a detta di molti, moltissimi. Insomma, facile intendere che stiamo parlando di Paolo Bonolis, il presentatore e direttore artistico della ultima edizione del Festival di Sanremo. Vi riportiamo una sua intervista, dopo l'attacco diretto dell'ex re di Affari Tuoi alla trasmissione Domenica In, in cui il presentatore, record-man in quanto a passaggi e trasferimenti dalla televisione pubblica a quella privata e viceversa, in cui si tira un sunto, una impressione globale e finale su tutto quanto accaduto in quel di Sanremo. Buona lettura:
Intervista al conduttore che ha ridato ossigenoa un festival agonizzante. Con l'aiuto di Maria De Filippi
Parla Bonolis, mister Raiset"Superabili le barriere tra aziende"
Sa che cosa dicono di lei, Bonolis? Sospiro: "Sentiamo". Che è l'autore del nuovo compromesso storico. Bonolissimo cerca la voce fra corde vocali in fiamme dopo cinque giorni di parole a mitraglia. "Non dica una parola di più. Ho capito: Rai e Mediaset, "Raiset", il bi-monopolio". Che si arrocca per fare la guerra a Murdoch. E mette insieme Maria De Filippi e il vincitore bambino, quello di Amici, Marco Carta. "Lasci perdere Carta, perché la sua vittoria è una conseguenza logica del televoto. Quando fai votare le masse, risponde soprattutto un pubblico giovane, abituato a programmi non tradizionali, ai reality, e incline a coalizzarsi intorno ad alcuni concorrenti. E' il reality Sanremo"."Marco Carta è l'effetto del cambiamento televisivo, e di concentrazioni di pubblico che Sanremo non aveva ancora sperimentato". Ci voleva Bonolis per fare impennare nuovamente lo status televisivo del Festival. Cinquantanove edizioni ed ecco una rivoluzione. La televisione totale. Dentro tutto. Compresa la gara, e le eliminazioni. "La gara focalizza il consenso". Festival melting pot, festival crogiuolo. "Adesso mi faccia dire una delle mie parole". Una di quelle sue definizioni come "il vecchio conio". "L'avevo già detto quattro anni fa, nell'altra mia edizione. Io sono per la "varieganza"". Cioè il puzzle, l'accumulo, i segmenti che si integrano. "Se vuole le racconto la mia idea di televisione. La tv è unica. E' un genere preciso, i cui presupposti culturali e spettacolari sono condivisi da tutti coloro che la fanno. A dividersi e a contrapporsi sono le reti, le aziende. Si divide il mercato, nascono barriere. Che qualche volta possono essere superate".
Vedi per l'appunto lo scambio con la De Filippi. Una colonna di Mediaset venuta a fare da madrina alla principale produzione Rai. Un evento che sembra davvero alludere al grande accordo del "bi-monopolio". "Ma la tv la fanno gli artisti. Maria è venuta in prestito, ed è stata una scelta sua. Noi televisivi sappiamo che qualche volta le leggi aziendali possono essere superate dalla voglia di uscire dagli schemi".
Quindi ecco il Bonolis grande federatore, il coalizzatore. "Non mi faccia parlare di politica. Per me questo è il giorno dell'unità nazionale".
Un day after bipartisan, direbbe un politologo, e Bonolis capirebbe subito, perché è stato un bravo studente al liceo, 58/60 alla maturità, e un passaggio a Scienze politiche. "Già, potevo diventare qualcuno".
E invece? "E invece sono diventato un fantastico pistola".
Allora passiamo al pistola di successo. Anzi di supersuccesso. La paragonano di nuovo ad Alberto Sordi, cioè a una figura che rispecchia integralmente l'Italia e gli italiani. "Per me Sordi è stato una specie di grande padre. Con i miei genitori ci divertivamo follemente con i suoi film e con le sue partecipazioni in tv: "Kessler, io vi voglio sposare... Kessler, c'avete dù fette...". Ma Sordi non è stato soltanto un comico, le sue maschere erano anche drammatiche". Insomma, Sordi e Totò. Nei gesti, nel trattamento dello spazio, nella prossemica, come potrebbe dire lui, specialista della contaminazione, nella "varieganza" di linguaggio aulico e lessico basso, in bilico fra una felliniana professoressa di lettere anni Cinquanta e la terminologia di Renato Zero. "Totò era un genio".
E Sordi? "Pure lui. Ma mi faccia dire quello che penso: spero che l'Italia sia meglio di quello che faccio io. Io sono uno specchio deformante".
Comunque Bonolis differisce da Sordi almeno per due aspetti. Il più scoperto è il matrimonio e la famiglia. Albertone è passato alla storia per le sue battute antimatrimoniali ("Sposarmi? mettermi in casa un'estranea?"). Bonolis, invece: due figli grandi, uno che adesso è di ritorno a New York e l'altra che segue un master in antropologia a Londra. La moglie, Sonia Bruganelli, coinvolta nel lavoro, e poi i figli più piccoli. "Ho una concezione della famiglia vecchio stampo. Che però si unisce a un profondo senso di libertà che io concedo volentieri a chi mi sta accanto, e quindi anche a mia moglie, che sta facendo, bene, le sue prove professionali".
Italiano, italianissimo, Bonolis. Solo che rispetto a Sordi ha qualcosa di laterale. Una specie di propensione sociale. Ha detto, minimizzando, che svolge azioni di solidarietà perché "ho molti soldi". Cinismo per velare il buon cuore? "Faccio le cose perché le sento, nel profondo".
Le cure ai bambini in abbandono, il Darfur, le iniziative in Italia e in Africa. Lei è un filantropo, Bonolis? E' credente? "Non sono un credente ma sono un "sentente", mi passi la parola. Sento di essere seduto su uno sconfinato punto interrogativo. Ho un grande sentimento dubbioso. Non ho paura di morire ma divento inquieto se penso che qualcuno può essere privato, in vita, di ciò a cui ha diritto. La solidarietà è un miracolo che scatta anche per sensazioni, non soltanto per fede. Ma diventa un discorso troppo importante a due passi dall'Ariston".
Intanto, per restare a miracoli più vicini, il prodigio autentico è avvenuto a Sanremo. Tutti davano il festival per morto. Anche il direttore di RaiUno, Fabrizio Del Noce, si era lasciato andare ad alternative sul tragico: o la va o la spacca. Se non ce la fa neanche Bonolis, è pronto il piano B, quello del tutti a casa. "Credo che il successo di questa edizione sia la conseguenza del lavoro realizzato in otto mesi come direttore artistico. Vede, a me piace mettere in scena quello che ho costruito io, con i miei collaboratori, con un lavoro paziente. Non mi piacerebbe affatto recitare un copione scritto da altri".
Questo si capisce. Dicono che Gianni Boncompagni la licenziò da Non è la Rai perché lei insisteva a dire "alcunché". Era già una personalità irriducibile. "Sono storielle. In realtà ero sotto contratto con le reti della Fininvest, ma Boncompagni non sapeva che cosa farmi fare: lui pensava alla regia di Ambra, alla ragazza con l'auricolare, a una tv diversa da quella che potevo fare io".
Allora vediamo qual è il segreto di Bonolis. "Lo ripeto sempre, e qualcuno non ci crede, ma è la leggerezza pensosa".
Pardon? "Sì, proprio quella di Italo Calvino, il Calvino delle Lezioni americane. Lo scrittore che insegna come si può affrontare la complessità con leggerezza. Con il telescopio di Schopenhauer sempre puntato...".
Rieccolo il Bonolis filosofico. "Voglio dire che c'è una razionalità che non è peso, non è gravame".
E quindi il segreto del festival miracolato? "Io stesso mi sono caricato di energia facendolo, perché dopo ogni serata mi accorgevo che la gente ci aveva sposato. Ho sentito che accadeva qualcosa con la Pfm in scena, e mi è parso che otto mesi di direzione artistica si stessero condensando in un momento davvero di spettacolo totale, di memoria, di poesia, di omaggio a De André, di solidarietà nella musica".
Per la verità ci vuol poco a capire che la ricetta miracolosa è consistita in un festival all star. A cominciare dall'apparizione di Mina, e con Benigni che sbanca l'Auditel. "Con Roberto siamo amici. Gli ho chiesto di venire e lui: "Vengo, ma per far ridere". Corri, gli ho risposto. Perché nella personalità di Benigni c'è la vis comica, e quella densità che gli permette di emozionare con la lettera di Oscar Wilde".
E Giovanni Allevi che pesta sul pianoforte: "L'avevo già portato in tv cinque anni fa. Allevi è timidissimo, ma nella sua fragilità comunicativa c'è la simbiosi completa con il piano. Ero e sono convinto che quando appare tutt'uno con il suo strumento, Allevi è arte popolare purissima, momento supremo che coinvolge tutti". Eppure dicono anche che per fare questo Sanremo lei, Bonolis, si sia "debonolizzato".
Pochi momenti bonolissimi, ma in genere, si è visto un conduttore attento a non strabordare. "Beh, quando sei nella tradizione devi avere rispetto: il festival appartiene a tutti, non puoi forzarlo".
Invece, qualche cedimento al popolaresco, qualcuno dice alla volgarità, nei siparietti con Luca Laurenti. Che cosa sono insieme, Bonolis e Laurenti: una reinterpretazione dei De Rege? "No, siamo noi due. Per interagire con Laurenti devi entrare in una dimensione parallela, che è il cervello di Luca. Uno che non prepara mai niente, improvvisa, sperimenta, vive".
Adesso, a festival salvato, è cambiato qualcosa dentro la mente di Superpaolo? "No, per l'amor del cielo, se un festival ti cambia la vita e la testa vuol dire che hai degli irrisolti seri, dentro".
E che cosa lascia in eredità? "Io consegno un'opportunità. La possibilità di contemporaneizzarlo, il festival. Un format per renderlo attuale, figlio della sua stagione, con le scenografie, con Internet, con la commistione di cinema e tv, con una musica di trasversalità, con canzoni che soddisfano i palati di molti".
Adesso può anche confessare, Bonolis: la polemica su Povia e Luca era gay ve la siete inventata a tavolino. "Se c'è qualcosa che mi rattrista sono le polemiche. La canzone di Povia non raccontava una guarigione, esprimeva un concetto temporale, un prima e un dopo, un cambiamento. I confronti fra il prima e il dopo ci stanno, nella vita. Se ci sta il passaggio da etero a omo, può starci anche la transizione da omo a etero".
Sono molto più rari, pare. "Ma comunque il festival non è vissuto sulla polemica, e io non brandisco il successo di Povia, arrivato sul podio, per dire che aveva ragione lui e torto gli altri. Piuttosto, siamo riusciti a mobilitare la musica italiana, da Gino Paoli a Zucchero, abbiamo fatto venire Burt Bacharach e Ornella Vanoni, quando tutti dicevano che i big da Sanremo stanno alla larga. Merito di Gianmarco Mazzi, il direttore artistico-musicale. E alla fine merito di tutti quelli che sono riusciti a mettere insieme di nuovo il puzzle". La varieganza. "Eh sì, la va-rieganza".

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