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giovedì 21 agosto 2008

LILLO TOMBOLINI, RESPONSABILE DI LA7: «NON SIAMO SNOB. VOGLIAMO ESSERE UTILI»

Raramente ci si occupa di La7, la cenerentola del sistema delle generaliste i cui fuochi sempre ardenti sono i trittici targati e schierati da Rai e Mediaset. Anzi, quando si parla di questo canale, del cosiddetto “terzo polo”, è frequente il ricorrere ad espressioni insite nel vocabolario di chi superficialmente afferma di essere appassionato del mezzo e frasi scontate e volgarmente fatte. La tv dei fighetti, la televisione per gli snob, fra le tante. Marchi, etichette, di cui è difficile svestirsi, se non con la tenacia e con un’assurda forza di volontà, quella che, con duplice effetto, deve essere anche propedeutica al superamento dei limiti massimi di ascolto raggiunti dal canale nel corso della sua breve storia, affinché sia possibile, e non più come utopistico, lo sfiorare percentuali sempre maggiori. Nonostante la crisi del settimo anno che, però, non ha portato ad una netta debacle, pare essere ancora assolutamente primario, nel dirsi quanto nel farsi, lo svolgere il lavoro di cui precedentemente, da parte di chi gestisce la rete. Lillo Tombolini, responsabile di La7, si confida a Sorrisi e Canzoni Tv, dando piena dimostrazione di come sia stato possibile il non vedere morire il canale che acquisirà, per la nuova stagione televisiva, nuovi volti e nuovi obiettivi da raggiungere.
Lillo Tombolini, circola il nome di Lilli Gruber per la prossima edizione di «Otto e mezzo».
«In questo momento posso dire solo che non ci sono novità per “Otto e mezzo”. Abbiamo una rosa di nomi che stiamo valutando. Quando avremo preso una decisione saremo lieti di comunicarla».
Sembra sicuro, invece, l’arrivo su La7 di Corrado Guzzanti. Che cosa avete in serbo per lui?
«C’è un progetto, speriamo che l’estate gli porti consiglio. A personaggi come lui non puoi dire “ Vieni e fai questo”, bisogna condividere un progetto e svilupparlo insieme. Questo vale per qualsiasi rete, soprattutto per una piccola come La7. Certo, è più faticoso ma anche più divertente perché il personaggio diventa parte del brand della rete. È successo, per esempio, con Giuliano Ferrara, che mi manca moltissimo. Ed è successo con Piero Chiambretti».
Però entrambi se ne sono andati.
«Tutte le cose hanno un loro ciclo, un inizio e una fine. Personaggi come loro, se non trovano un progetto che riescono a cucirsi addosso, non fanno televisione, diventano instabili. Nel caso di Ferrara, la passione civile l’ha portato alla scelta traumatica del “Pro Life”. Con Piero ci siamo lasciati in amicizia e non è detto che, prima o poi, non torni».
Se ne va anche Daria Bignardi. Pare abbia chiesto un milione di euro per traslocare a Raidue.
«L’ho letto, ma bisognerebbe parlarne con lei, non con me».
Parlava della speranza di portare Guzzanti a La7. Altri sogni?
«Mi piacerebbe riuscire a trovare un personaggio nuovo. Che non deve essere per forza tale, cioè mai visto prima, ma che possa fare qualcosa che non gli è abituale. Un esempio: Flavio Insinna è un attore e Pupo è un cantante ma entrambi si sono rivelati bravissimi a condurre giochi. Oppure, per rimanere nell’ambito de La7, penso a Piergiorgio Odifreddi che, nel programma di Maurizio Crozza, ha fatto il guru. Un matematico dentro un contenitore comico, ecco cosa intendo per contaminazione».
Gli ascolti de La7 l’anno scorso si sono assestati sul 3%. È un risultato che soddisfa davvero un direttore?
«Intanto le dico che nel mese di luglio siamo arrivati al 3,3%, cioè a un +10% rispetto all’anno precedente. Poi, bisogna fare un discorso sull’audience. Il marketing della pubblicità, quando calcola i ricavi di una televisione, stabilisce la soglia di ascolto che garantisce quei ricavi. Sulle grandi reti generaliste, questa è scienza assoluta: Canale 5 pur di fare il 21% abbassa le altre due reti Mediaset. Noi non abbiamo questa possibilità».
Qualcuno vi accusa di essere un po’ snob.
«Teniamo molto a non essere mai inutili. Se guardi un programma su La7 devi avere la sensazione di non avere perso tempo. Questo non è essere snob, è il rispetto di un patto che abbiamo stretto con il pubblico attraverso il posizionamento di certi programmi: se mentre di là c’è il Gabibbo tu di qua fai “Otto e mezzo”, quello è un patto con il pubblico. Ognuno sceglie il suo percorso, l’importante è avere un linguaggio accessibile».

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